La casa sulla Marteniga

presentazione di Mario Rigoni Stern

In una rilettura sofferta del proprio passato, l’autrice segue l’intento costante e fecondo di rintracciare – conscere e ri-conoscere – i “segni” che nella sua giovinezza già preannunciavano il destino futuro, il suo modo di essere e di porsi di fronte al mondo, l’inevitabilità del suo presente di donna che ha fatto dell’impegno sociale e politico una fede. In un alternarsi continuo e ritmato, che si ripete puntuale di capitolo in capitolo, tra passato e presente, o meglio tra presente del ricordo e presente della scrittura, Tina Merlin racconta la sua infanzia e la sua giovinezza, fino alla fine della Seconda Guerra. Il filo del ricordo la riconduce ai difficili anni dell’infanzia e della giovinezza, ai rapporti conflittuali con il padre, alla triste incomunicabilità con la madre, al suo doloroso “viaggio di conoscenza” lontano dalla casa sulla Marteniga, in città, e ancora alla sua lenta ma precoce scoperta delle differenze sociali e delle ingiustizie contro le quali sorse subito in lei un’istintiva ribellione. Ma sono soprattutto i ricordi legati alla guerra e alla lotta nella Resistenza, di cui la Merlin fu protagonista, a costituirsi come cuore memoriale e insieme narrativo, è l’idea dell’Evento che cambia una vita, che la stravolge – miracolo o catastrofe che esso sia –, fino a farsi simbolo della vita stessa di un individuo, fino a divenire un profondo diaframma in grado di originare un prima e un dopo, di rompere la continuità di una vita creando una sorta “rigenerazione” dal male e dalla morte, originata dall’impossibilità di “essere-ancora” la stessa persona e insieme dalla necessità di “non-esserlo-più”. La figura della madre – “ponte” e allo stesso tempo “fonte” rispetto al passato – genera un confronto continuo tra le due donne, che nel presente del racconto è anche “scontro” fatto di sottili violenze psicologiche, nel perenne tentativo, da parte della Merlin, di far ribellare la madre almeno al ricordo della donna che è stata. La madre è il modello femminile da lei sempre rifiutato, l’immagine dell’infelicità subita, della ribellione soffocata con un senso di colpa, della rinuncia e della rassegnazione al suo ruolo passivo di moglie, alla sofferenza, alla morte dei figli, alla guerra, alle ingiustizie, al destino in generale. Ma accade anche, nei loro incontri del presente, che l’incomunicabilità antica tra le due donne trovi ora una spiegazione e in un certo senso si riscatti. Il ricordo assume allora la funzione quasi di catarsi: operazione necessariamente dolorosa e sofferta, ma infine vivificante e liberatoria.

Il nome di Tina Merlin è indissolubilmente legato al suo coraggioso e costante impegno politico e sociale. Nata a Trichiana (Belluno) nel 1926, a diciassette anni partecipa alla lotta di liberazione nella Resistenza. A partire dal 1951 svolge per trent’anni attività giornalistica come corrispondente de «L’Unità». con particolare attenzione alle lotte sindacali, ai problemi sociali, alle proteste civili; è in questo contesto la denuncia della situazione pericolosa che si andava creando sul Vajont. Nel 1957 pubblica Menica, un libro di racconti partigiani; nel 1969 Avanguardia di classe e politica delle alleanze; nel 1982 Siamo tutti una famiglia e, nel 1983, Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe: il caso del Vajont. Muore nel 1991.

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