Intervista ad Alberto Giordani

12 Giugno 2018

Abbiamo posto alcune domande ad Alberto Giordani che ha appena pubblicato con la nostra casa editrice la sua seconda raccolta di racconti Soglie. Alberto Giordani è scrittore, regista e attore, vive a Parigi e nel 2017 ha vinto il Premio "Maria Messina" nella sezione narrativa con la sua prima raccolta di racconti dal titolo Passaggi, pubblicata da Mimesis.

Come nasce questa sua raccolta di racconti?
La raccolta nasce dal movimento, infatti ho iniziato a scrivere nel treno che prendo ogni mattina attraversando Parigi: così il tempo definito del viaggio in mezzo agli altri è diventato quello della scrittura. Inoltre questa prossimità con le persone mi ha permesso di creare partendo da dettagli esterni – un gesto, il particolare di un vestito, un articolo che qualcuno legge – per poi astrarli verso un percorso dell’immaginazione. In ogni caso, come spesso mi accade, la scrittura nasce dallo scrivere. Nel senso che inizio a comporre, e solo in seguito arrivo a definire il contesto in cui mi interessa muovermi. Non parto da un progetto ma da un’azione.

Soglie è il titolo, ci descriva cosa sono per lei le "soglie" e come questo concetto è affrontato nei racconti.
Il titolo Soglie si riferisce principalmente al racconto-parabola Davanti alla legge di Kafka (citato da Massimo Donà nel suo Abitare la soglia), con l’uomo di campagna immobile, im-possibilitato a varcare la porta, e al libro Lo spazio inquieto. La città e la paura di Marco Filoni – in cui alla Soglia è dedicato un bellissimo capitolo.
Il tema comune dei racconti è l’idea di un percorso interrotto di fronte a un limite, con la necessità di scegliere come proseguire. Questa è dunque, essenzialmente, la mia interpretazione del concetto di soglia: un momento inquietante ma decisivo che ciascuno di noi si trova ad affrontare almeno una volta nella vita.

Nei racconti i personaggi non possiedono un nome proprio, ma sono individuati solo da pronomi, ci parli di questa scelta.
I vari “lui” e “lei” delle Soglie sono da intendere più come sfumature dell’anima che come personaggi definiti. Insomma, non è detto che “lui” sia un uomo o “lei” una donna. Vorrei piuttosto esprimere degli elementi sostanziali di ogni essere umano. Là dove, in linea di massima, “lui” è la natura maschile che ambisce ad accrescere la propria individualità, “lei” invece, quella femminile, che tende alla relazione, all’incontro con l’altro.

Perchè ha scelto di scrivere racconti brevi in un panorama editoriale in cui la forma privilegiata è il romanzo?
Forse perché il tempo che viviamo mi appare talmente complesso da non poter (ancora?) trovare ciò che ritengo sia alla base del romanzo, ovvero uno sguardo veramente distaccato. Mi sembra di essere troppo immischiato nel caos, forse anche per la quotidiana urgenza della città in cui abito, Parigi.
In generale comunque ho l’impressione che la frammentarietà costituisca una delle cifre della vita contemporanea, dove siamo costantemente esposti a un eccesso di stimoli, senza avere la possibilità o la capacità di immergerci a fondo in alcuno di questi. Cerco allora di dare almeno una forma a questo eccesso, proprio attraverso la sintesi, come a voler creare una collezione di istantanee.

Pur essendo racconti finiti, in qualche modo sembra che dove finisca uno inizi l’altro, come se appartenessero a un macrotesto.
Il fatto di non aver dato un titolo a ciascuno dei racconti, preferendo numerarli da 1 a 100, va esattamente in questa direzione. Mentre scrivevo Soglie, avevo letto di Jackson Pollock che, stanco di dover definire ogni sua opera attraverso un titolo, decise appunto di numerarle poiché “Numbers are neutral”.
Tale neutralità del numero a mio avviso permette di leggere questa raccolta o come una serie di racconti distinti l’uno dall’altro oppure come una successione di variazioni che tratteggiano il tema principale. Vorrei poter lasciare la scelta a ciascun lettore.

Lei nasce come poeta, e lo stile di questi racconti richiama una prosa poetica, quali sono i suoi modelli?
Ho il piacere e la fortuna di intrattenere uno scambio letterario e umano con Paolo Valesio, che considero il mio maestro nella scrittura. Paolo è un importante studioso – ed eccellente creatore – di “prosapoesia”.
Parallelamente, anche la mia scrittura poetica ha sempre più sperimentato le forme della prosa fino a, se vogliamo, invertire i fattori. Ma l’elemento poetico rimane: è per me naturale, necessario. Ritengo che la poesia sia il mezzo attraverso il quale tento di dare un senso maggiore a ciò di cui parlo.
Ovvero, poiché poeta è nell’etimo “colui che produce”, nel senso più preciso del termine, la sussistenza di elementi poetici in quello che scrivo è forse il modo migliore per puntare alla concretezza.

Cosa vorrebbe lasciare/trasmettere a chi legge questi racconti?
Una traccia di bellezza. La speranza nella bellezza. Ma tale bellezza, lungi dall’essere il semplice rifugio di un’estatica incoscienza, è piuttosto il dono proibito di cui parla anche Borges ne Lo specchio e la maschera.
Ecco: se nei miei racconti il lettore potrà trovare uno spunto per fare un passo in più verso la propria soglia, alla ricerca della bellezza – consapevole o meno della sua pericolosità – allora potrò pensare che scriverli sia stato davvero giusto, oltre che bello.

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