Canto la liberazione da se stessi. Ma non una liberazione che attenui la sofferenza, né tantomeno che cerchi la felicità. Canto il distacco dall’organismo nelle sue manifestazioni più primitive e autoriferite, con tutti i corollari: la non curanza per la realtà, l’indole confabulatoria, la ricerca del quieto vivere,il sentire “strumento” ogni oggetto. Ossia: il personalismo.
È un invito ad essere al di sopra delle proprie vicissitudini, a vedere il mondo “dall’esterno”, a vivere sub specie aeternitatis. L’esistenza, certo, sembrerà più gravosa, sottoponendo ogni cosa (e se stessi) a critica. Ma quanta leggerezza, in questo peso!
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