Questi “passi di donne” riecheggiano un mondo di voci e silenzi, seguono i percorsi di figure femminili che appartengono ad un passato vicino e, allo stesso tempo, avvertito dalla nostra memoria come realtà inesorabilmente perduta. Le protagoniste di questi racconti di Mariuccia Beghetto sono madri-coraggio, mogli, vedove, “donne bambine”, ugualmente colte e descritte con tratti essenziali nelle loro scelte esistenziali e nella loro difficile, talora tragica, quotidianità.
La lingua materna, un dialetto veneto “che odora ancora di terra arata”, è il filtro che consente di accedere a un universo domestico e filiale intriso di valori arcaici, eredi diretti della civiltà contadina e dei suoi riti. Come scrive Erminia Macola nella sua presentazione: «Ogni parola è sapore e ci riscopre un mondo che non credevamo di possedere ancora con echi così vivi e risonanze così ampie. [...] Ci riappropriamo di qualcosa che non avevamo perduto mai, ma rimaneva sepolto. Qualcosa di noi rinasce con quelle parole e quelle immagini che hanno siglato momenti della nostra infanzia e che la lingua dei media ha definitivamente cancellato». Echi di cose dimenticate che, nei racconti di Mariuccia Beghetto, ritornano con i tratti sorprendenti del nuovo.
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