Il “nuovo caffè” di Antonio Pedrocchi e Giuseppe Jappelli, aperto al pubblico nel 1831, rappresentò il grande fatto dell’Ottocento padovano: un luogo di incontro, di intrattenimento e di cultura, ispirato ai modelli d’Oltralpe, al gusto mitteleuropeo che legava la Padova di quegli anni a città come Trieste e Vienna. Il Caffè Pedrocchi, il “caffè senza porte”, naturale punto di ritrovo per austeri professori e goliardi dell’università, ma anche per poeti, artisti, per nobili e borghesi come per cittadini e viaggiatori di passaggio (Stendhal, tra i primi), attraversa l’epoca postunitaria e accompagna Padova nel tumultuoso Novecento, con la Belle époque, il fascismo e il dopoguerra, tra dissesti economici, cambiamenti di gestione (e di costume), tentativi spesso incongrui di modernizzazione, prima dell’ultimo restauro di fine secolo, teso a restituirne l’originaria identità architettonica.
La libreria Draghi di Padova è stata non solo una “bottega del libro”, ma un punto di riferimento per studiosi e intellettuali, un vivace luogo di confronto e di scambio culturale. Il fondatore, il veneziano Angelo Draghi, inaugurò in questa sede anche una lunga tradizione editoriale: particolare pregio avranno, per esempio, le edizioni Draghi-Randi di classici latini. Nel 1915 la libreria-editrice viene trasmessa per via ereditaria alla famiglia Belloni e, poco dopo, a Giambattista Randi: il figlio di Giambattista, Giuseppe, gestirà la libreria dagli anni Trenta ai Settanta, facendone il fulcro dell’attività libraria padovana e mantenendo l’antica denominazione di quello che era diventato un luogo storico della città. Di qui passeranno grandi nomi della cultura come Diego Valeri, Manara Valgimigli, Concetto Marchesi.