Che la filosofia passi è l’esperienza stessa del pensiero così come (ci) sta accadendo. La fine della filosofia, la filosofia della fine o la filosofia finita non sono che degli indicatori, dei punti in superficie appena un po’ marcati, dove la fine è anche sempre da intendersi – mettendo in tensione un’espressione di Schelling – come l’inizio finalmente «esposto e determinato come tale». Nessun pathos tragico, dunque. Anzi, per certi versi tratta di ciò che è sotto gli occhi di tutti; proprio questo, tuttavia, è quanto di più difficile si possa pensare, vale a dire ciò da cui, in un certo senso, non si può non essere toccati e che perciò rimane sempre al di là da venire. Ma così, in ogni pensiero, è sempre anche questione del desiderio che spinge il pensiero stesso a pensare.
Oltre a quello occupato dalla stessa filosofia che passa intesa come praxis radicalmente finita, il luogo è il tentativo di pensare il finito come tale a partire da ciò che in ogni ente è sempre al di là dell’ente. Luogo, dunque, come eccedenza (e, dunque, come l’eccedersi) della presenza. Da qui, tra l’altro, la sorpresa del mettersi in atto del senso tra l’accadere e il pensare proprio dell’essere finito.
Il luogo del finito
Ventitre studi
prefazione di Jean-Luc Nancy
Alfonso Cariolato, dottorando in Filosofia presso l’Université Marc Bloch di Strasburgo, insegna Filosofia e Storia nei licei. Autore di alcuni saggi, ha tradotto, fra gli altri, testi di Heidegger, Derrida e Nancy.