«Ma nnun c’è llingua come la Romana / pe ddì una cosa co ttanto divario, / che ppare un magazzino de dogana». Con questi significativi versi Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863), forse il più grande poeta in dialetto della nostra letteratura, caratterizzava il vernacolo da lui utilizzato nei 2279 sonetti romaneschi. La lingua di Belli viene sottoposta in queste pagine a un’indagine sistematica e accurata che vuole dimostrare la doppia anima del suo autore: quella del poeta e quella del linguista.
Nel volume si ricostruisce la riflessione estetica che portò Belli a poetare in romanesco. Grazie all’esame dettagliato delle note e dei linguaggi utilizzati nei Sonetti (il latinesco, le lingue straniere, il gergo, le deformazioni e i difetti di pronuncia, il parlà ciovile e il giudaico-romanesco), si dimostra come il dialetto utilizzato da Belli sia assolutamente fedele a quello parlato dai popolani di Roma negli anni trenta dell’Ottocento. I sonetti romaneschi costituiscono dunque un documento importante, oltre che per il letterato, anche per lo storico della lingua e per il linguista.
Giuseppe Gioacchino Belli poeta-linguista
Nicola Di Nino collabora con il Dipartimento di Italianistica e Filologia romanza dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e con la Columbia University di New York, dove ha svolto il dottorato di ricerca. Per Il Poligrafo ha curato l’edizione del poema di Giuseppe Carletti, L’incendio di Tordinona (2005) e il Glossario dei Sonetti di G.G. Belli e della letteratura romanesca (2008). Fa parte del comitato di redazione della rivista «Letteratura e dialetti» ed è membro del Centro Studi “G.G. Belli” di Roma.